A metà gennaio decidiamo di tentare una uscita in Guernica, nei pressi di Longarone (BL), nel Parco delle Dolomiti Bellunesi. Perché “tentare?”. La grotta è accessibile in condizioni di sicurezza solamente in pieno inverno, con temperature per molti giorni al di sotto dello 0, a causa del grande flusso di acqua, che la fa sifonare in diversi punti. L’uscita dell’anno scorso si era fermata dopo il primo sifone per la grande quantità di acqua, che avevamo stimato ci sarebbe arrivata abbondantemente sopra le spalle, e due anni prima eravamo riusciti ad arrivare in fondo “solamente” bagnandoci fino alla pancia.
L’accesso alla grotta è consentito previa autorizzazione del Parco Naturale delle Dolomiti Bellunesi.

Due gli obiettivi principali: recuperare e reimpostare la strumentazione scientifica messa in grotta, e fare strada ai ragazzi del gruppo che non l’hanno mai vista. L’assenza di precipitazioni dell’ultimo mese non è garanzia della carenza di acqua in grotta, quindi siamo pronti a tornare indietro qualora non ci siano le condizioni di sicurezza. L’assenza di neve e la strada aperta ci permettono di lasciare l’auto in Grisol di dentro, al bivio per Rizzapol. Ramponcini ai piedi, affrontiamo l’ora di cammino alla grotta, scavalcando con un po’ di fatica gli sfasciumi di Vaia degli ultimi metri fuori sentiero e notando con costernazione che sul sentiero mancano i soliti 5-10 centimetri di neve. All’ingresso, pochissima acqua.
Mentre Dado arma con una corda di sicurezza i primi 5-6 metri di scivolo, Mau controlla i datalogger. Questi strumenti, opportunamente calibrati, permettono la misurazione delle temperature e hanno una memoria di circa un anno e mezzo. Completa il kit una protezione disegnata e stampata in 3d dai ragazzi del gruppo, che li protegge dallo stillicidio. Dobbiamo portare fuori quelli in grotta e sostituirli con dei nuovi. Due erano stati sostituiti l’anno prima, quindi avevano un anno di registrazione. Gli altri 3 erano nella zona in cui non eravamo arrivati, ma avevano comunque continuato a registrare fino all’esaurimento della scheda di memoria, cioè circa a novembre 2024.

Iniziamo la progressione. La prima parte è probabilmente quella più impegnativa: circa 300 metri su un piano inclinato di circa 45° che sembrano un chilometro. Si striscia lateralmente su un laminatoio bagnato e con graziosi filoni di selce che ti grattano la schiena, o si cammina a carponi coi piedi in ammollo cercando di evitare marmitte solo in apparenza semi vuote. Seguiamo a ritroso un fiume sotterraneo, avvolti da dense volute di vapore acqueo, nei 6 gradi medi di temperatura della grotta. Unici rumori, l’acqua, lo strisciare degli speleologi e dei sacchi, e qualche occasionale imprecazione, dovuta sia ad incauti inarcamenti della schiena che sbatte brutalmente sulle affilate selci onnipresenti, sia all’immersione inconsapevole di sedere/gomito/ginocchia nelle numerose marmitte, inevitabili nel percorso, che sembrano vuote ma che in realtà hanno decine di centimetri d’acqua. Di tanto in tanto si sente intonare canti popolari per bambini, nello sconcerto di qualcuno e nel divertimento degli altri. Pur non presentando passaggi complessi dal punto di vista tecnico questa parte è sempre estremamente impegnativa sul piano fisico e mentale. La fatica è ripagata da piccole ma bellissime visioni.
Acqua limpidissima, marmitte piene di sassi liscissimi che sembrano finti, piccole rapide gorgoglianti, moltissime concrezioni in punti inaspettati. Finalmente un grotta senza l’onnipresente fango. Approfitto delle pause del gruppo per girare alcuni brevi video. Arriviamo al punto critico, il primo bypass. Una tavola posizionata strategicamente permette di strisciare in uno stretto cunicolo senza bagnarsi la pancia. La portata dell’acqua dopo questo passaggio stabilirà se potremo o meno arrivare alle zone più lontane o no. La zona è quasi secca. Bene, almeno per noi.


Ultime salite su laminatoi, e dopo oltre due anni, l’A27 rivede le luci degli speleologi. Dopo oltre 2 ore di progressione spiaccicati sulla roccia bagnata o in ammollo fino alle caviglie, la Galleria A27 fa ben capire il perchè i primi esploratori l’abbiano chiamata così, tirando molto probabilmente un gran sospiro di sollievo. È un salone leggermente inclinato che sale per decine e decine di metri, fino a chiudere. Da qui in poi si riesce a restare in piedi fino alla fine della grotta, con buona pace della nostra schiena e delle nostre articolazioni.

Risaliamo l’A27 lentamente, godendo delle tantissime concrezioni. In questa parte di grotta, restiamo in silenzio, contemplando gli enormi spazi che solo noi speleo possiamo dire di aver visto, e meditando su quanto ci avevano detto i più esperti delle esplorazioni passate. Racconti di corde lasciate nella galleria e trovate macerate fanno pensare che ci sia un grande flusso di acqua. Sono state tentate alcune risalite, ma tutte chiudevano. Le sporadiche presenze segnalate di piccoli mammiferi in questa zona, impossibile da raggiungere in estate, fanno pensare ad accessi molto piccoli, impossibili per noi umani, o a straordinari viaggi nei periodi di magra.

La fantasia viaggia e ci chiediamo cosa succeda a questa grotta quando l’essere umano non può osservarla. Poco male, speriamo che i datalogger ci aiutino a capire cosa è successo. Arriviamo in fondo all’A27 fino alla galleria delle selci, rischiando quasi di sbagliare strada. D’altronde sono più di 2 anni che non andiamo, l’errore è umano. La galleria delle selci è un cunicolo lungo diversi metri con numerose calcificazioni, che porta ad una sala con un pozzetto. Sotto il pozzetto, un laghetto, il secondo sifone. E qui abbiamo un compito importante, verificare quanto è salita l’acqua in questi due anni. Come? Negli ultimi anni abbiamo installato un idrometro artigianale: una tanica vuota attaccata con un bloccante ad una corda tesa dalla base del pozzetto sopra il sifone. Quest’anno la tanica
è risalita di tutti i circa 7 metri di corda, arrivando a fine corsa. Scendo con Dado nel pozzetto per reimpostare l’idrometro, ne approfitto per fare due foto e un paio di video al secondo sifone, e chiedere altre cose sul proseguimento della grotta. Per un po’ stiamo in seduti in silenzio, ad ascoltare il rumore dell’acqua e a godere di questa vista, esclusa completamente dagli abitanti che in queste valli hanno camminato e vissuto, inconsapevoli della meraviglia sotto i loro piedi.


Forse i dati dei datalogger una decina di metri sopra di noi, in galleria delle selce e in a27, ci aiuteranno in parte a capire come funziona questa grotta, questa piccola parte di strada che si scava l’acqua, centinaia di metri sopra di noi. Possiamo vedere solo una piccola parte di grotta, quella esplorabile, in una minuscola frazione di tempo, nelle pochissime ore che passiamo in grotta. Ma per il resto? Cosa succede nei 364 giorni e 22 ore in cui non ci siamo? Va in piena? Quanto, come? Dove? Cosa succede sott’acqua, dove non arrivano nemmeno i sub? La speleologia, attraverso l’esplorazione e il rilevamento dati sul campo, è forse l’unico strumento che abbiamo al momento per dare delle risposte. Non siamo scienziati, ma con questi strumenti diamo un aiuto prezioso a chi potrebbe trovare delle risposte. E questo vale per ogni grotta, non solo per Guernica.

Risaliamo e troviamo Mau che si sta occupando della sostituzione dei datalogger. Nel mentre impostiamo un altro strumento che avevamo preparato. Sospettavamo che la galleria delle selci si riempisse di acqua
nei periodi di piena, quindi avevamo legato un galleggiante ad un cordino libero, per vedere se si sarebbe mosso. La cordellina era rotta e il galleggiante era più avanti di diversi metri. L’insieme delle cose fa pensare che la piena da sifone una decina di metri sotto di noi sia tracimata nella galleria delle selci.
Disarmiamo il pozzetto e usciamo. Il resto del gruppo ha già iniziato con molta tranquillità la discesa e ci aspetta più avanti. Mentre scendiamo sostituiamo i datalogger. All’uscita troviamo un leggero nevischio che ha reso la parte finale della strada una bella pista di pattinaggio. I ragazzi sono rimasti molto contenti, e soprattutto asciutti, cosa non scontata. Nonostante la soddisfazione per il lavoro fatto, c’è poca voglia di parlare. Si sente un po’ di stanchezza, così come un certo appetito.
Foto: Dado, Mau, Acciughina.
Autore: Acciughina